Archeologia,  Curiosità

Le defixiones – Antiche maledizioni su lamina

Quando frequentavo l’università ebbi l’opportunità di seguire un interessantissimo corso di Storia della Lingua Latina in cui si affrontava l’evoluzione fonologica e semantica delle parole approfondendo niente poco di meno che il lessico della magia.

Lezione dopo lezione si approfondivano termini come: ritus (rito), strigis (strega), philtrum (filtro), amuletum (amuleto), etc. Tra i vari temi trattati ci furono anche le cosiddette defixiones (defissioni; al singolare defixio = defissione).

Per chi non lo sapesse con il termine defixio si fa riferimento ad una pratica rituale molto diffusa nel mondo classico, ben testimoniata tanto a livello archeologico quanto letterario. Si tratta nello specifico di testi scritti su tavolette (le tabellae defixionum) riguardanti vere e proprie maledizioni. Queste tabellae costituiscono un reperto alquanto importante non solo dal punto di vista linguistico (ne sono state ritrovate scritte in greco, latino, etrusco, osco, celtico, iberico, punico), ma anche paleografico perché consentono una conoscenza più ampia delle scritture corsive nell’antichità. A seconda del contesto e dell’attività svolta dalla vittima di tali maledizioni si sono tentate delle loro classificazioni: maledizioni agonistiche, amorose, politiche, giudiziarie.

Il termine defixiones o defixionum tabellae deriva dal verbo defigere (= inchiodare). Il nome allude da un lato alla volontà dell’esecutore di immobilizzare le capacità fisiche e mentali della persona oggetto della maledizione, dall’altro alla modalità con quale veniva attuata la maledizione, attraverso l’atto di trafiggere il supporto scrittorio con chiodi, attuando così una sorta di effetto simpatetico (di identificazione tra l’atto fisico della trafittura e l’invocazione del castigo divino).

La procedura per lanciare questo tipo di anatemi prevedeva che la formula della maledizione venisse scritta su piccole lamine di piombo: nell’antichità si era già venuti a conoscenza della tossicità di tale metallo, e proprio per questo motivo esso veniva impiegato come supporto per incidervi sopra maledizioni. Nel testo doveva essere precisato il nome della vittima che si voleva colpire, con l’aggiunta del patronimico e del matronimico affinché la formula potesse essere il più possibile precisa; inseriti verbi come occidere, vulnerare e cruciare (uccidere, ferire, torturare), ed infine il nome di una o più divinità a cui si chiedeva aiuto. Una volta ultimata la scrittura della formula, la lamina veniva ripiegata più volte su sé stessa per poi essere trafitta da uno o più chiodi ed essere così consacrata agli dei inferi. Infine, esse venivano occultate nelle tombe, immerse in laghi, fiumi o nel mare. Queste lamine erano, in alcuni casi, accompagnate da sigilla (sigilli in piombo oppure in argilla o cera) che presentavano degli elementi organici del perseguitato, anch’esse attraversate da un chiodo.

Concepite come un metodo di “giustizia individuale”, alternativo ovviamente a quello ufficiale –  e pertanto illecito e segreto –, le defixiones rispondono a scopi che i defigentes (cioè, gli autori delle maledizioni) non potevano raggiungere attraverso la legalità, materializzando così sentimenti come l’invidia, il rancore, il desiderio, la rabbia o il timore.

La loro diffusione nell’occidente latino è stata tradizionalmente collegata ai processi di conquista del territorio. In quest’area, infatti, le lamine di maledizione vennero usate fin dal VI secolo a.C., momento in cui si datano le prime tabellae della Sicilia greca.  Secondo alcuni, la loro diffusione dovrebbe essere collegata in primo luogo al contatto stabilito attraverso le rotte di colonizzazione fra i greci e gli osci, popolo che trasmetterà questo habitus ai romani, i quali, a loro volta, lo diffonderanno per tutto l’impero insieme al processo di romanizzazione del territorio.

Anche se le defixiones costituiscono uno degli aspetti maggiormente clandestini ed illeciti di un processo che risulta essere già espressamente condannato (almeno a livello orale) nelle Leges Duodecim Tabularum, l’abitudine di redigere maledizioni su piombo si divulgherà in tutte le province dell’impero in maniera lenta ma inesorabile, fino al suo progressivo declino durante il periodo Tardoantco.

Le leggi delle XII tavole (duodecim tabulae; duodecim tabularum leges) sono un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano, se si considerano le più antiche mores e lex regia. Non se ne conosce tuttavia il testo completo.

Consigli di lettura

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Formatesi presso l’Università degli Studi di Torino, dove ha conseguito la laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali e la specialistica-magistrale in Storia del Patrimonio Archeologico e Storico-Artistico, si è specializzata all’Università degli Studi di Milano diplomandosi in Beni Archeologici. Libero professionista, si occupa di archeologia informatica e virtual heritage, allestimenti museali, grafica 2d e prodotti multimediali applicati ai Beni Culturali. Collabora con diversi enti pubblici e privati nell’ambito di progetti relativi la ricerca, valorizzazione, comunicazione e promozione dei Beni Culturali. Si occupa della creazione di percorsi culturali relativi all’intera Penisola italiana e dello sviluppo di contenuti (creazione di testi e produzione fotografica) per pubblicazioni cartacee e virtuali. Tra i suoi interessi di studio si hanno lo sviluppo di nuove tecniche e mezzi di comunicazione per la valorizzazione dei Beni Culturali e l’evoluzione della simbologia del potere tra Tardoantico e Altomedioevo.

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